
Un “caso” del destino, ossia la loro incompiutezza, unisce due fra i lavori di musica sacra più importanti della produzione mozartiana e forse anche dell’intero canone classico: il Requiem KV 626 e la cosiddetta “grande” Messa in do min. KV 427.
Otto anni separano i due lavori che, da un punto di vista estetico, tentano la declinazione del “sublime” nelle sue polarità di tragico e trionfante nello stile del classicismo viennese. Bisognerà attendere la Missa Solemnis di Beethoven per colmare quel divario che dal Bach della Messa in si min. passa attraverso il Mozart di questi due “poderosi torsi marmorei”, come forse sentenziava un po’ retoricamente Paumgartner.
Se per il Requiem la tradizione si affida al completamento dell’allievo Süssmayr, collaboratore e copista negli ultimi anni di vita di Mozart, che ha agito sulla base dei suoi schizzi (il quartetto vocale con il basso continuo, più qualche indicazione di strumentazione) e frammenti, per la Messa in do min. ci troviamo di fronte a una situazione più complessa ma al tempo stesso più semplice.
Mozart, infatti, ha composto completamente il Kyrie, il Gloria, due numeri del Credo e il Sanctus con il relativo Benedictus e Osanna da Capo.
Diversi tentativi sono stati compiuti per stabilire una performing version che potesse reggere l’esecuzione integrale, al paragone del più maturo Requiem. Già intorno al 1840 erano apparsi i primi tentativi a carico di volenterosi “kapellmeister” di area germanica ma il primo completamento, che vide la stampa nel 1901 e conobbe una larghissima diffusione, fu quello di Alois Schmitt, che principalmente prese “in prestito” lavori mozartiani precedenti, adattandoli alle parti mancanti. Il tentativo, benché operato con criteri che oggi potrebbero essere definiti “poco filologici”, fu musicalmente riuscito e permise a questo capolavoro di affermarsi presso il grande pubblico e ne favorì le innumerevoli esecuzioni, in ambito liturgico così come concertistico.
Successivamente anche altri musicologi hanno intrapreso vari completamenti, chi scegliendo solo di dare una forma compiuta al materiale esistente, e chi tentando la via della missa tota adattando lavori mozartiani o componendo exnovo i movimenti mancanti.
Richard Maunder, Helmut Eder, Ulrich Leisinger e Robert Levin sono alcuni fra coloro i quali si sono cimentati in quest’impresa. Il completamento che presentiamo in questa sede vuole essere un ulteriore contributo allo state of art della ricerca musicologica e al tempo stesso tentare un’altra via rispetto ai precedenti lavori di più illustri colleghi.
Si è trattato di completare la restante parte del Credo e l’intero Agnus Dei/Dona nobis pacem utilizzando il più possibile materiale mozartiano originale e limitare al massimo l’intervento di ricostruzione o composizione su temi esistenti.
Il primo ostacolo da superare consiste nel decidere le dimensioni e l’articolazione del Credo che, giuntoci in due movimenti che coprono circa la metà del testo latino a disposizione, è stato completato con altri due movimenti, speculari per organico a quelli esistenti, quindi un’aria per il Crucifixus/Et resurrexit e un coro per l’Et in Spiritum Sanctum. Per la prima è stata utilizzata l’aria Fra le oscure ombre funeste tratta dal salmocantata
Davide Penitente KV 469, che Mozart realizzò nel 1785 per un concerto per la TonkünstlerSocietät
di Vienna, basandosi sul Kyrie e Gloria (più due nuove arie e una cadenza) dell’incompiuta sua Messa. Alcuni elementi ritmici e prosodici di quest’aria, apparentemente di nuova composizione del 1785, fanno credere con qualche fondamento che si trattasse effettivamente del Crucifixus/Et resurrexit della Messa in do min. L’intervento del revisore si è limitato al ripristino del testo originale e all’aggiunta del ritornello finale, non previsto per via di una “transizione” che collegava quest’aria al movimento successivo del Davide Penitente.
Per il successivo coro a chiusura del Credo siamo stati fortunati da “scovare” un movimento originale quasi coevo alla composizione della Messa: un Credo in “Tempo di Ciaccona”, inizialmente previsto per la Missa KV 337 del 1780, di cui Mozart ha completato solo le prime 180 misure. In questo caso l’intervento è stato più “creativo” dovendo adattare la strumentazione e l’organico corale a quella del primo movimento del Credo KV 427, oltreche inserire il testo secondo le nuove esigenze. Si è preferito mantenere senz’alcuna modifica l’originale strumentazione mozartiana (quindi senza l’aggiunta di tromboni colla parte, trombe e timpani, come realizzato in alcuni precedenti completamenti) per dare al Credo quel carattere più “concertante” che sembra trasparire dalla scrittura originale, rendendo così questo momento della Messa un’oasi più intima e moderna al tempo stesso, incastonata fra i due blocchi monumentali di Kyrie e Gloria da una parte e Sanctus e Agnus Dei dall’altra.
Se per il Sanctus la revisione si è limitata a un recupero delle parti vocali originali, desunte dai raddoppi strumentali esistenti, e da una migliore distribuzione del materiale fra le otto voci (di cui cinque originariamente esistenti) dei due cori, per l’Agnus Dei e il Dona nobis pacem l’intervento è stato necessariamente più sostanziale, benché anche in questo caso l’abbondanza di materiale tematico originale ha evitato di incorrere in “voli pindarici” di nuove composizioni che difficilmente si sarebbero adattate al linguaggio mozartiano del 1783.
Nel primo caso abbiamo operato sulla falsariga di Süssmayr che, probabilmente a seguito di un’indicazione orale di Mozart, ha ripreso parte del primo movimento del Requiem nella sua conclusione. Si è quindi realizzato un “contrafactum” del Christe per l’Agnus Dei, fornendolo di un’introduzione in cui il materiale tematico del Kyrie viene presentato nella tonalità di Mi bem. maggiore e operando alcune variazioni nella parte vocale suggerite dal Solfeggio KV 393 Nr. 2, basato sullo stesso tema.
Il Dona nobis pacem presenta invece una vera e propria “sfida” per il revisore di questo lavoro, dato che gli schizzi esistenti indicano chiaramente che sarebbe stato trattato come un’elaborata “doppia” fuga a quattro voci. Mozart ci ha lasciato il primo soggetto, l’esposizione del secondo e il momento in cui si uniscono i due soggetti.
Dopo lunga e appassionata ricerca si è riusciti a identificare fra gli schizzi coevi alla creazione della Messa ulteriori informazioni, utili ad accrescere la “percentuale” di materiale originale di questo movimento. Abbiamo quindi uno “stretto” di un motivo che si è provveduto ad integrare nel lavoro come controsoggetto della prima fuga e un lungo ed elaborato “divertimento”, estremamente modulante ed interessante, che abbiamo posto al culmine dello sviluppo della fuga, proprio prima della “gloriosa” riunione dei due soggetti.
A parte quindi la strumentazione, il lavoro principale è consistito nella stesura del “piano di fuga” e della composizione exnovo di alcuni divertimenti e della coda finale.
La speranza di chi scrive è che la Messa KV 427, in questa nuova forma, riveduta ed ampliata, possa ulteriormente attrarre l’interesse degli studiosi e l’amore degli interpreti così come quella del pubblicofruitore, pur essendo ben consci che questo tentativo rappresenta poca cosa rispetto alle intenzioni originali di un Mozart. La “consolazione” di poter presentare un’altissima percentuale di materiale musicale originale compensa del fatto di essere coscienti che in diversi punti le intenzioni di Mozart avrebbero preso molto probabilmente ben altra direzione rispetto alle scelte operate. Il piacere artistico e intellettuale, però, di essersi potuti misurare con simili vette della creazione musicale è già una ricompensa e sollievo per qualsiasi critica che questo lavoro potrà far sorgere e di ciò non si potrà mai essere abbastanza grati.
Luca Guglielmi